La Via – 23 Luglio 2013
Oggi parliamo di
Abbiamo ricevuto questo articolo anonimo, si tratta di una provocazione,
ma abbiamo pensato di proporvelo così come ci è pervenuto.
La Cartolina
E’ la cosa più difficile. Hai i figli che ti guardano tutto il giorno. Se nelle altre stagioni sono a scuola, al catechismo, in palestra, d’estate ti sono sulle costole. I figli ti guardano, ti pesano, ti ascoltano in continuazione. Educare è un’impresa, specie d’estate; un’impresa seria, continua, a tutto campo. Una madre indiana portò il figlioletto a Gandhi: “Gli faccia la ramanzina perché mangia troppi dolci!”. Il grande educatore le disse: Me lo riporti fra 15 giorni. Dopo 15 giorni glielo riportò, lo abbracciò, gli disse poche parole e lo rimandò a casa. – Perché non gliele ha dette prima quelle parole? – Perché 15 giorni fa anch’’io ero goloso: rispose. D’estate anche i genitori sono da aiutare un po’di più.
Un padre non può dire:
“Non sprecare cibo, non guardare troppa televisione, non rispondere male a tua madre, non lasciare la doccia in disordine, impara a ringraziare, non dire parolacce, basta con quel telefonino, fa le lezioni e dici le preghiere…” e poi vedono e sentono tutto quello che il padre fa o non fa.
Una madre spesso crede di migliorare il figlio dicendogli:
“Guarda come è brava a scuola tua sorella. Lei mangia tutto senza sprecare. Mi tolgo il pane di bocca per te e tu come mi ripaghi? Se continui così mi farai morire. Ma che figlio abbiamo!? Un disastro! Sei sempre lo stesso, anzi, edizione peggiorata”.
E così quel figlio si sente colpevole di essere nato; si fa demotivato, scoraggiato, deludente. Le sberle vincono, le parole (certe parole) convincono. Educare non è solo comandare, castigare (anche se tal volta ci vuole pure questo), ma è persuadere. Significa dire: “è bello avere un figlio come te! Sono felice di averti. Sei tu che dai senso alla mia vita. Se ti rimprovero è perché ti sogno migliore. Ogni parola che gli diciamo deve essere “Vera, Necessaria, Gentile”.
Sentiamoci come le impalcature di una costruzione, che un po’ per volta bisogna togliere, sempre più lasciamo che se la sbrighi da solo. Quanto più presto lo trattiamo da uomo, tanto prima comincerà a diventarlo.
Un genitore deve saper dire dei sì e dei no, non a caso, ma a seconda dei valori che vive egli stesso.
Certi no danno sicurezza togliendo l’indecisione, irrobustiscono l’’io facendolo affrontare la burrasca senza naufragare, avvertono che vi è un’autorità (al figlio serve un genitore autorevole, non un amico in più). Un figlio senza no cresce selvaggio, prepotente, pigro, piantagrane, superbo. Certo i no vanno misurati (non troppi, giustificati, darne ragione), non urlati (frutto dell’umore di un momento) non prediche, non dare tutto subito, no ai ricatti con continue mancette.
“Si abbassano le vette per far meno fatica e così i ragazzi vivono nella palude”.
I sì sono più indispensabili dei no, mettono le ali. Sì al figlio con quel sesso, quell’intelligenza, quell’aspetto, sì alla tenerezza, al giocare insieme, all’ascolto: figli non solo guardati, ma ascoltati. Essi non dicono quello che vogliamo, ma quello che siamo. Ogni figlio ha bisogno di un padre e di una madre. Allora forse (se ci riesce) avremo un figlio che un giorno pregherà come Papa Francesco a 20 anni: “Voglio credere in un Dio Padre che mi ama come un figlio per farmi sorridere. Credo nella mia storia. Credo che gli altri sono buoni, che deva amarli senza timore e senza tradirli. Credo che voglio amare molto. Credo nella pazienza di Dio, accogliente, dolce come una notte d’estate. Credo in Maria, mia madre che mi ama e non mi lascerà mai solo”.
Il figlio d’estate veda cosa fa un genitore per la famiglia; impari ad aiutare in gratuità, adoperi mani, occhi, orecchi come insegna il Grest di quest’anno. Buone vacanze a tutti nel segno dell’educazione per migliorare, crescere, vivere più pienamente.
(Alcuni spunti presi da P.Pellegrino)
Don Marco Scattolon